Volli, fortissimamente volli!

anche se non so cosa voglioE così il tribunale di Roma ha riconosciuto la possibilità di adozione ad una coppia omosessuale formata da due donne, di cui una sola è biologicamente imparentata con la bimba ottenuta mediante procreazione assistita (è il caso di dirlo anche se sembra si parli di un oggetto!) in un paese europeo cinque anni fa. Riporto qui per completezza la notizia.

Ora, tralasciamo i vari problemi, giuridici, antropologici, etici che pure ci sono. Vorrei brevemente concentrarmi su di un aspetto che forse pochi prenderanno in considerazione. Non voglio con questo post esprimere giudizi, ma solo basarmi su ciò che provo e vivo ogni giorno da padre e marito.

Con mia moglie abbiamo desiderato dei figli e ci siamo detti appena sposati che se fossero arrivati subito ne saremmo stati felici (e così è stato). Dicevo appunto che abbiamo desiderato un bambino, siamo stati aperti alla vita e quando abbiamo scoperto che era stato concepito lo abbiamo accolto senza saper se sarebbe stato alto, biondo, bello, maschio o femmina, sano o malato. Ci è stato fatto un dono e noi ci siamo preparati ad accoglierlo facendo del nostro meglio.

Intendo dire con questo che dopo il desiderio e la conseguente apertura alla vita vi è una dimensione che ingloba tutto e che è quella del dono. Essa fa sì che il nuovo venuto (il figlio) non sia un semplice prodotto della volontà di chi lo ha desiderato: infatti, obbliga chi lo attende a porsi allo stesso livello e non al di sopra. Obbliga a quell’incontro tra il padre e la madre che hanno accolto un altro da sé (e non un prodotto di sé, la differenza non è solo terminologica!), incontro che per farla breve genera la paternità e la maternità.

Ora veniamo al caso di cui si dava notizia all’inizio. Io penso che al di là di tutto qui manchi proprio la dimensione (che è però essenziale) del donoNoi vogliamo una bambina, noi la facciamo (anzi la commissioniamo perché ci è naturalmente impossibile concepirla), noi la otteniamo, noi la cresciamo e vogliamo che sia riconosciuta come figlia nostra (anche se essendo nata con eterologa è figlia anche di un terzo mister X). Noi vogliamo e basta. E se poi quel figlio non corrisponde a ciò che io voglio? E se poi le cose andranno diversamente? Chi ne porterà (o meglio sopporterà) il peso? Io credo prima di tutto i figli.

E se mi permettete un’ultima considerazione, la cosa che più mi preoccupa è che certe decisioni sono prese in nome di quei bambini e per il loro bene, senza però minimamente interrogarsi su quale realmente esso possa essere. Ecco quanto penso, senza giudizi e rancori, ma con tanta, tanta pena nel profondo.

Andrea Musso

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