Credere o non credere: non è la stessa cosa!

Non vi pare un po’ strano quanto riporta il vangelo: «Gesù gridò a gran voce: “Chi crede in me…”». Quel verbo “gridò”, se vuol dire che c’era tanta gente e, non essendoci nessun impianto acustico, Gesù doveva per forza alzare la voce, però pare strano, perché tutte le volte capitava che ci fosse un po’ di gente ad ascoltarlo e, tuttavia, mai il vero è ripetuto. Questa volta pare proprio che Gesù alzi la voce, come quando si parla a qualcuno che non “vuol capire”.

Gesù  vuol far intendere che è venuto a nome di Qualcuno e non a nome proprio e che quel Qualcuno è proprio quel Dio che i suoi ascoltatori dicono di conoscere, ma invece né lo conoscono, né lo amano. Non è la voce del venditore che vuole a tutti i costi vuole far comprare la sua merce: c’è la passione di Dio nella sua voce che richiama l’uomo alle sue responsabilità. È un discorso che oggi piace poco a tanti, ma deve essere affrontato.

Si fa troppo in fretta oggi a dire che ognuno ha la sua opinione, che c’è libertà di espressione, pluralismo intellettuale, liceità di pensare tutto ciò che si vuole. E questo ha causato la deresponsabilizzazione di tutti coloro che respingono la fede. Vivono felici e beati, perché hanno scelto di non credere. Per cui l’ ”ateismo di maniera” è diventato di moda, un bel biglietto da visita per essere accolti con simpatia, per essere un po’ diversi e moderni.

Si è creata quindi l’opinione condivisa anche da tanti cristiani che in fatto di religione si è liberi, una religione vale l’altra. E questo ha causato in tanti cristiani l’impegno apostolico tanto ottuso, piatto, smussato. Perché difatti ce la prendiamo tanto, ci affatichiamo tanto perchè altri giungano alla fede, se credere o non credere è la stessa cosa? Certo dobbiamo coesistere “in pace” con coloro che non credono, ma Gesù non si è accontentato di vivere il suo culto col Padre in silenzio, nel tempio, in mezzo a tutti gli altri, ma si è messo a gridare a gran voce: «Chi crede in me, non crede in me, ma in Colui che mi ha mandato. Chi mi respinge e non accoglie le mie parole ha chi lo condanna. La parola che ho annunziato lo condannerà nell’ultimo giorno…». Ora, io non vorrei essere severo, fondamentalista o dare giudizi sugli altri, ma a me pare che questo gridare di Gesù voglia farci capire una cosa fondamentale.

Il non credere non è cosa che Dio accetti con indifferenza. Dio ci crea liberi ma ci chiederà conto di come abbiamo usato questa nostra tanto adorata libertà, dei doni che ci ha fatto. Perciò credere o non credere, davanti a Dio, non è la stessa cosa! Che le civiltà, i popoli, l’uomo guardino con benevolenza a Dio o si stacchino da Lui non è la stessa cosa. Che la nostra vita, leggi e costumi riflettano o no la legge profonda di Dio, non è la stessa cosa. Vivere bene o vivere male non è la stessa cosa per Lui. Le beatitudini sono per coloro che accettano Dio, non per quelli che non le accettano.

Comunque lasciamo il giudizio a Dio per tutti gli altri, ma noi credenti ricordiamo che abbiamo il dovere morale, la vocazione profonda, la responsabilità suprema di aver conosciuto Cristo e di credere profondamente in Lui con la nostra vita, cercando inoltre con la nostra testimonianza e preghiera che si svegli la coscienza addormentata di tanta gente che prende per libertà quello che libertà non è, perché Gesù ce l’ha detto: «Solo io vi farò liberi»!

don Lio

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