Papa Francesco, grande frainteso

Venerdì 20 settembre le radio e le televisioni aprono sull’intervista di papa Francesco a «La Civiltà Cattolica», le prime pagine dei giornali presentano fotografie e articoli sull’evento, ma, in pari data, «L’Osservatore Romano» non ne parla. L’intervista, infatti, non è un documento ecclesiale, ma una conversazione con il direttore della rivista, subito pubblicizzata in tutto il mondo. Si tratta di un testo più autobiografico che teologico, narrativo, riguardante la metodologia della pastorale nel mondo contemporaneo. Ma certi giornali, isolando alcune frasi, parlano di svolta epocale, sottolineando l’attenzione all’uomo, mettono tra parentesi Dio, affermano il primato della libertà sulla verità, contrappongono il Vangelo di Gesù alla Dottrina della Chiesa, e così fraintendono il pensiero di papa Francesco.

La stessa cosa era capitata alla lettera indirizzata a Scalfari di qualche giorno prima (11 settembre), perché qualcuno ha immaginato che papa Francesco finisse per avallare il relativismo, secondo cui non ci sono che verità relative e il credere sia un “credere per credere”, e quindi non implichi l’intelligenza della fede. La Repubblica aveva vistosamente titolato a tutta pagina «Anche per chi crede la verità non è assoluta, non la possediamo, è lei che ci abbraccia». Ma in quella lettera dopo avere detto che la verità non è un «assoluto» e precisato che «la verità, secondo la fede cristiana, è l’amore di Dio per noi, in Gesù Cristo, dunque la verità è una relazione», aggiunge: «Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva». C’è qui in gioco la distinzione tra la scienza e la saggezza, la prima coglie l’assoluto della verità come un oggetto astratto, in un puro “rapporto intellettuale”; la seconda riconosce che questo oggetto è un soggetto, è Dio, ed entra con lui in una “relazione personale” da soggetto a soggetto. Già Aristotele, san Tommaso, Maritain hanno rilevato queste sottili distinzioni, che vanno ben oltre la contrapposizione pascaliana tra il Dio dei filosofi e il Dio dei credenti.

Oggi a riguardo di questa intervista ci troviamo di fronte non più ad un fraintendimento intellettuale, ma ad un fraintendimento morale. Il «Corriere del della sera» titola, «Le parole rivoluzionarie del Papa», e Luigi Accattoli nel suo commento parla di «aggiustamento dei precetti». La Repubblica titola «Apertura su gay, divorzio e aborto», e chiama Hans Kung a commentare l’intervista e l’ex teologo propone il sacerdozio femminile per arginare la crisi delle vocazioni. Ma a leggere bene l’intervista di papa Francesco, si capisce che accompagnare, comprendere il peccatore non significa giustificare il peccato e che la Chiesa, in tempo di guerra è «un ospedale da campo», non per lasciare incancrenire le piaghe sociali, ma per guarirle.

Papa Francesco non contrappone il Vangelo alla dottrina; proprio il Vangelo narra che Gesù si accompagna con i discepoli, smarriti e confusi, in fuga verso Emmaus, per spiegare loro le Scritture, nelle quali, mi pare, ci siano anche e in bella evidenza i Comandamenti di Dio. Gesù non giudica, perdona l’adultera, ma le domanda di non peccare più. Papa Francesco sa bene che l’indissolubilità del matrimonio è parte integrante dell’etica cristiana, nella sua intervista lo dà per scontato, non apre al divorzio, apre ai divorziati, che non hanno perso la fede. Non apre all’aborto, che è un omicidio, ma alle donne che si sono pentite di aver abortito; non benedice il matrimonio omosessuale, che matrimonio non è, ma apre all’omosessuale in cerca di Dio. La misericordia di Dio, presuppone il pentimento, non cancella la giustizia, ma, nel sacrificio di Gesù, paga per l’uomo la colpa commessa.

Il fraintendimento più grande sta nel ritenere che papa Francesco abbia sostituito la coscienza alla legge, l’autonomia dell’uomo all’esistenza di Dio. C’è una frase chiave nella lettera a Scalfari: «Ma Gesù resta fedele a Dio fino alla fine». Per evitare ogni fraintendimento, a livello di approfondimento, bisogna comprendere che per ciascuno una cosa è non giusta se la coscienza non la riconosce per giusta, ma non è giusta perché la coscienza la riconosce come tale, ma perché è giusta in se stessa. Si tratta di raccordare la soggettività della coscienza con l’oggettività della verità; un tempo si dava più importanza all’oggettività della verità, fino all’inquisizione e alla crociate, nel pensiero moderno si da più importanza alla soggettività fino al relativismo e all’agnosticismo. Jorge Mario Bergoglio, che è il primo gesuita a diventare Papa, non si è chiamato Ignazio, ma Francesco, e ha indicato nell’amore la maniera di raccordare verità e libertà.

Piero Viotto
(tratto da «Il nostro tempo», 29 settembre 2013)

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