Il testamento biologico: disporre di qualcosa di cui non siamo padroni

Sul tema delicato e difficile del testamento biologico, pubblichiamo un’intervista al prof. Giuseppe Zeppegno, esperto di bioetica, docente alla Facoltà Teologica di Torino, apparsa all’inizio del 2012 su un periodico di moncalieri.

– Si sente spesso parlare di “dichiarazioni anticipate di trattamento”, di “disposizioni (o direttive) anticipate di trattamento” e di “testamento biologico”. Sono espressioni equivalenti? Che cosa indicano?
Le espressioni sopra citate sono spesso usate come sinonimi, ma suppongono intendimenti molto diversi. La dicitura dichiarazioni anticipate di trattamento, coniata dal Comitato Nazionale per la Bioetica nel 2003, ipotizza la possibilità di indicare le preferenze non vincolanti dei pazienti circa gli interventi da attuare nel caso venga a mancare la capacità di interloquire con i sanitari.
L’espressione disposizioni (direttive) anticipate di trattamento è la traduzione dell’inglese advance health care directives. Prevede il dovere dei sanitari di rispettare le indicazioni date dai pazienti sui trattamenti da fornire o non fornire, anche se tale scelta possa anticipare la morte.
La terza dicitura, testamento biologico, traduce l’inglese living will ed è ancor più vincolante. È animata, infatti, dalla convinzione che sia possibile gestire il “bene vita” come tutti gli altri beni avuti in proprietà. Mentre però le indicazioni date sulla ripartizione del patrimonio hanno valore solo dopo la morte, i fautori del testamento biologico ipotizzano la possibilità del testatore di determinare i tempi e i modi del proprio morire.

– Esiste un diritto a stabilire il tempo del proprio morire?
La Sacra Scrittura, la Tradizione e il Magistero della Chiesa da sempre riconoscono che la vita umana è dono di Dio da rispettare e tutelare dal concepimento alla morte naturale. La negazione del diritto di veder soddi­sfatta dalla società la soggettiva volontà di morire non è però prerogativa della Chiesa Cattolica. Non mancano pensatori laici che pongono validi motivi per rifiutare questa possibilità. Uno di questi, il costituzionalista Gustavo Zagrebelsky, in un’intervista rilasciata il 14 dicembre 2011 a Il fatto quotidiano, dopo aver costatato che «la gran parte dei casi di suicidio deriva da ingiustizie, depressione o solitudine», si è chiesto se la società può favorire questa pratica. La sua risposta negativa è stata motivata dalla convinzione che le strutture sociali non possono assumersi il compito di uccidere. Anzi è loro preciso dovere porre le condizioni perché ogni persona possa essere curata e alleviata nelle sue sofferenze.

– Che cosa prevede la legge in materia, giacente al Senato?
Ha il merito di sostenere la necessità di evitare ogni apertura all’eutanasia nella convinzione che la tutela della libertà individuale non deve pregiudicare il bene sommo della vita. La scelta di perderla non è espressione di libertà, anzi è esattamente l’opposto perché la libertà si esprime solo attraverso la vita.
Inoltre, suggerisce l’importanza di evitare l’accanimento perché l’esistenza non va prolungata a costo d’inutili sofferenze. Ha anche rigettato la deresponsabilizzante idea che l’abbandono terapeutico possa trovare una sorta di legittimità. Quando ogni rimedio per arginare l’evolversi della malattia appare inutile, è giusto arrendersi alla naturale limitatezza umana avendo però l’attenzione di riconoscere al malato il diritto di essere assistito e accompagnato verso la morte con un autentico rapporto di cura, capace di alleviare la sofferenza e offrire dignità anche nel difficile trapasso.
Il disegno di legge ora giacente in Senato ha poi il limite di essere ancora troppo concentrato sulla questione degli stati ve­getativi e troppo poco attento alle diversissime situazioni dei malati con disabilità cronica o in fase terminale.

– La sottoscrizione delle dichiarazioni anticipate potrà essere modificata?
È bene che la prima stesura delle dichiarazioni anticipate sia periodicamente riformulata fin quando il testatore mantiene lo stato di coscienza. In questo modo potrà essere di volta in volta adeguata alle cangianti situazioni personali e agli sviluppi della medicina.

– In attesa del definitivo varo di una legge in materia, è utile istituire registri comunali per raccogliere le dichiarazioni anticipate?
L’uso di istituire registri comunali per raccogliere le dichiarazioni anticipate è motivato essenzialmente dalla volontà di dare un segnale di carattere politico e ideolo­gico. Fin quando non sarà approvata la legge, le dichia­razioni rilasciate saranno di fatto illegittime e avranno un dubbio e sempre appellabile valore giuridico.

– Quando la legge sarà definitivamente varata, sarà sufficiente a dirimere le questioni oggi tanto discusse?
Anche quando la legge sarà definitivamente varata, sarà indispensabile recuperare un’autentica alleanza terapeu­tica capace di unire alle dichiarazioni anticipate il dialogo frequente con i sanitari e con persone significativamente correlate e autorizzate a prendere decisioni quando il paziente non sarà più in grado di intendere e volere.

Lascia un commento