Un ecuadoriano a Santena

Al termine dei due mesi di permanenza a Santena, per prestare servizio e aiuto estivo in parrocchia, come anche nelle parrocchie di Cambiano e di Villastellone, don Dario fa un bilancio dell’esperienza. È l’occasione anche per presentare meglio se stesso e il Paese da cui proviene. Pubblichiamo volentieri le sue riflessioni, ringraziandolo per il valido aiuto che ha donato per tutta l’estate 2019 alle tre parrocchie.

Don Dario con ospiti e volontarie della casa di riposo Forchino

Mi chiamo Franklin Darío Toapanta Sisa, ho 33 anni, 8 anni come sacerdote, sono incardinato nella Diocesi di Ambato (Provincia di Tungurahua) in Ecuador, guidata dal vescovo Giovanni Pazmiño. Attualmente sono studente alla Pontificia Università della Santa Croce a Roma: nei prossimi mesi inizierò il terzo anno nella Facoltà di Diritto Canonico. Sono un membro di una piccola famiglia (genitori e tre fratelli e sorelle in totale). Prima di essere inviato come studente a Roma, ho servito come vicario collaboratore per quattro anni nella parrocchia ecclesiastica di San Jacinto del Canton Ambato; due anni come consigliere per l’apostolato pro-vita; cinque anni come responsabile della pastorale giovanile diocesana; due anni come formatore e promotore vocazionale nel seminario maggiore di Cristo Sacerdote. In mezzo alla mia realtà umana, ho sentito come Gesù Cristo ha bussato alla porta della mia vita e mi ha invitato a seguirlo. Non c’è dubbio che la sua grazia e misericordia mi hanno aiutato ad ascoltare, rispondere e perseverare nella mia vita sacerdotale e nell’esecuzione di tutti questi servizi.

Condivido con voi, cari lettori, una parte della mia esperienza vocazionale: prima di tutto, devo dire che non ho mai voluto essere sacerdote. Il mio obiettivo era di realizzarmi in una vita professionale, ricordo che volevo essere un avvocato, un poliziotto o un soldato. Devo dire che non avevo mai pensato di approfondire la mia fede cristiana, tanto meno di prendere la decisione di diventare sacerdote. Ma dopo molti anni mi guardo indietro e affermo che Dio è stato buono e misericordioso, che Dio usa gli uomini e gli eventi per fare la sua volontà. Manifesto che la mia vocazione nasce da tre realtà: in primo luogo, il carisma di un sacerdote verso i giovani che nonostante le molteplici realtà difficili (povertà, bande, mancanza di lavoro, ecc.) non ha mai perso la speranza nei giovani della sua parrocchia, è stato sempre vicino e di carattere forte per promuovere uno stile di vita con Gesù Cristo (un sognatore ma con i piedi sulla terra). In secondo luogo, la mia insegnante di Scienze Naturali con un buon cuore e una saggezza indescrivibile che mi ha aiutato a scoprire la mia vocazione. Ricordo sempre alcune sue frasi: “Vale la pena dare la vita per gli altri”, oppure “volere è potere”. E in terzo luogo, una comunità dove ho avuto la mia prima esperienza come missionario, un luogo che porto ancora oggi nel mio cuore. In questo luogo ho incontrato Gesù Cristo: un piccolo villaggio, ma con una fede capace di muovere una montagna. Questa esperienza come missionario nella Settimana Santa mi ha portato a pensare: “Sembra che questa sia la mia strada, sembra che questa sia la mia vocazione”. Anche se l’origine della vocazione sacerdotale continua ad essere un mistero, posso dire che queste tre realtà mi hanno spinto a percorrere questa strada, la stessa che progressivamente si va consolidando.

Per quanto riguarda la mia permanenza nelle parrocchie di Santena, di Villastellone e di Cambiano, posso dire che sono un luogo benedetto da Dio per la loro storia, la loro ricchezza gastronomica, il loro calore umano, per la loro fede e generosità, per il loro grande spirito di appartenenza e di apertura alla conoscenza di nuove realtà culturali. Un piccolo messaggio a tutti i membri di queste comunità: non perdete mai la fede, la speranza e – la più grande di tutte – l’amore. C’è una frase biblica che mi colpisce molto: “Le vie di Dio sono misteriose come la via del vento, o come il modo in cui lo spirito umano è infuso nel corpo del bambino anche nel grembo materno di sua madre” (Ecclesiaste 11, 5). A voi dico: anche se le circostanze sono avverse e complesse, se il vostro cuore è nelle mani di Dio, tutto sarà possibile, alla fine trionferà l’amore. Ricordate sempre come il Signore Gesù bussa alla vostra porta e vi chiama a seguirlo: “Volete collaborare con me? Volete essere miei apostoli?”. Tenete sempre presente ciò che il Signore vi ha dato, ciò che vi ha affidato: tutto ha uno scopo. Tenete presente che il mondo può essere pieno di disperazione, di tanti problemi, ma il Signore vi dice: “Voi siete la luce del mondo”. “Siete voi che dovete illuminare queste tenebre” (cfr. Mt 5,14). Pertanto, ascoltate e rispondete generosamente alla chiamata del Signore e confidate nella grazia dello Spirito Santo. Ricordatevi che Dio combatte con voi e per voi.

Infine, esprimo la mia sincera gratitudine a Gesù Cristo per questa meravigliosa opportunità di conoscere queste parrocchie, comunità prospere e feconde. E in Gesù Cristo, esprimo anche la mia sincera gratitudine a Mons. Cesare Nosiglia, a don Giuseppe (detto anche don Beppe), don Mauro, don Alberto per avermi dato l’opportunità di vivere e condividere questi due mesi tra voi, conoscere la vostra cultura, imparare la vostra lingua, celebrare l’Eucaristia, come ministro del sacramento della Confessione, visitare le famiglie, conoscere luoghi meravigliosi di Torino, e così via. Mi sento veramente benedetto e grato per tutto ciò che avete fatto e manifestato in questa esperienza pastorale. Sia lodato Gesù Cristo.

Ecuador

Presento alcuni elementi importanti del mio Paese natio: l’Ecuador. Il suo nome viene dal latino “aequatore” (equalizzatore, quello che pareggia), è un paese che si trova proprio sulla linea che segna la metà del mondo in due parti uguali: l’emisfero nord e l’emisfero sud. L’Ecuador è uno stato di diritto costituzionale e di giustizia sociale, democratico, sovrano, indipendente, unitario, interculturale, plurinazionale e laico. È organizzato in forma di repubblica e governato in modo decentralizzato; nell’ambito dell’organizzazione territoriale è strutturato in distretti metropolitani, circoscrizioni territoriali di popoli e nazionalità indigene, afro-americani, montubias, e il consiglio di governo della Provincia delle Galapagos.

La linea immaginaria dell’equatore attraversa l’Ecuador

L’articolo 2 della Costituzione del 2008 stabilisce che “il castigliano è la lingua ufficiale dell’Ecuador; castigliano, kichwa e shuar sono le lingue ufficiali delle relazioni interculturali. Le altre lingue ancestrali sono di uso ufficiale per le popolazioni indigene nelle zone in cui vivono e nei termini stabiliti dalla legge. Lo Stato ne rispetta e incoraggia la conservazione e l’uso”. Secondo il rapporto dell’Istituto Nazionale di Statistica del 2018, la popolazione ecuadoriana ha raggiunto i 17.096.789 abitanti e, secondo le statistiche, la regione insulare delle Galapagos è la meno abitata, con 25.124 persone. L’arcipelago di Galápagos si trova a circa 1.000 chilometri dalle coste continentali dell’Ecuador ed è mantenuto sotto un regime speciale di conservazione e cura per la sua elevata e unica biodiversità. L’Organizzazione delle Nazioni Unite per l’educazione, la scienza e la cultura (UNESCO) ha dichiarato le Isole Galapagos patrimonio dell’umanità nel 1978.

La configurazione della cultura ecuadoriana è intimamente legata al divenire storico; l’identità nazionale consiste in un profondo sentimento di appartenenza ad una collettività storico-culturale. I territori dell’attuale Ecuador erano abitati circa dal 9000 a.C. da diversi gruppi aborigeni, che probabilmente sarebbero arrivati nel paese dall’Asia o dall’Oceania. Questi popoli, che si sono stabiliti nei nostri territori, sono cresciuti demograficamente e hanno raggiunto importanti livelli di sviluppo. Dal XV secolo in poi, gli Inca, provenienti dai territori peruviano-boliviani, hanno invaso buona parte dei territori e sottomesso diversi popoli, producendo così una prima grande simbiosi culturale, cioè un misto di caratteristiche culturali dei nostri indigeni e dei conquistatori Inca. Nel XVI secolo, gli spagnoli arrivarono nelle nostre terre e compirono una nuova conquista e colonizzazione. Poi si verificò una seconda grande simbiosi culturale tra i coloni che abitavano ancestralmente le latitudini e gli ispanici. Due gruppi umani hanno amalgamato le loro credenze religiose, la lingua, le arti, le feste, la gastronomia, ecc. Questa simbiosi culturale ha coinvolto anche neri di origine africana, arrivati in Ecuador come schiavi.

L’Ecuador ha una posizione geografica nella zona equatoriale, che genera condizioni geografiche favorevoli; nel Pleistocene, fu una zona rifugio: a causa delle glaciazioni avvenute e che si stavano verificando, vi fu la migrazione di specie diverse dalle zone temperate verso le zone equatoriali, dove esse trovarono rifugio e si stabilirono; ha l’influenza delle correnti marine di Humboldt e El Niño, cosa che genera la presenza di biodiversità marina e condizioni climatiche uniche; ha una catena montuosa andina, che porta alla creazione di diversi piani altitudinali con microclimi e caratteristiche uniche (Costa, Sierra, Amazzonia). Per questo motivo ha un patrimonio naturale, cioè una ricchezza naturale, una biodiversità. La stessa che è alla base dell’esistenza umana perché fornisce molte delle risorse di cui questa ha bisogno per sopravvivere.

Parte della nostra cultura sono i cibi tipici, per cui potremmo parlare di una gastronomia ecuadoriana, con caratteristiche molto proprie. In tutto il nostro paese vengono preparati i cibi più diversificati, che deliziano il palato dei cittadini e degli stranieri che visitano questo piccolo paese, ma grande nel cuore, nella libertà e nella cultura (Benjamin Carrion). La musica ecuadoriana (Pasillos, Sanjuanito, albazo, bomba, capishca, pasacalle, yaravi) riflette pienamente le componenti meticcio, indigene e afro della nostra cultura. Gli indigeni e i discendenti afro mantengono ritmi musicali ancestrali fino ad oggi, gli stessi che hanno una caratteristica di gioia e rapporto con la natura.

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